L’amore dei nostri fondatori per la gioventù più povera deriva precisamente dall’intuizione profonda del fatto che l’indigenza materiale minaccia lo sviluppo della persona nel suo essere integrale, ostacolando non solo l’evoluzione fisica, ma anche quella psico-sociale e morale-religiosa. Ne possono conseguire – e lo si comprende facilmente – sia la passiva sottomissione dell’uomo alle varie schiavitù individuali e sociali, sia tutte le sommosse e rivoluzioni reazionarie delle classi svantaggiate. Per questo si tratta piuttosto di prendere in considerazione le tendenze e l’atteggiamento interiore dell’uomo nei confronti dell’avere e del potere – due fattori intimamente collegati – e la conseguente relazione con i beni materiali, con se stesso e con il prossimo. Da questa riflessione risulta evidente che se si vuole diminuire la povertà in noi e nel mondo, intesa non solo nel senso di una indigenza materiale ma soprattutto di una povertà, che a volte è miseria spirituale, occorre favorire un cambiamento degli atteggiamenti di base, consci e inconsci, da cui possa scaturire un modo d’essere diverso, più maturo e che si esprime nelle relazioni dell’uomo con tutta la realtà, sia a livello individuale che comunitario.
Indice:
- 1. Le radici psicologiche del problema della povertà e dinamiche evolutive del senso del potere
- 2. Un rapporto nuovo con il possesso e con il potere nell’espansione religiosa della personalità: la beatitudine della povertà accettata e desiderato
- 3. Beatitudine della povertà nella vita salesiana, quali condizioni?
Periodo di riferimento: 1975 – 1999
G. Stickler, Povertà, indigenza o beatitudine? Approccio psicologico in “Colloqui sulla vita salesiana, 19”, Benediktbeuern, Germania, 21- 31 agosto 1999, Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta, 2001, 73-91.