Gli anni che la storiografia italiana, a proposito della propria storia nazionale, denomina come Età fascista, sono anni particolarmente difficili per quanto riguarda la situazione politica, caratterizzata in Italia dal totalitarismo imposto da Mussolini, con tutte le gravi conseguenze che ne sono derivate. Ma si possono, senza dubbio, intendere come particolarmente difficili anche per quel che riguarda il tema che più direttamente desidero affrontare: l’educazione dei giovani. In pochi momenti della sua storia, infatti, la Chiesa è stata sfidata in modo così risoluto sul campo dell’educazione dei giovani come è avvenuto, in questi anni, da parte del regime fascista: con un progetto di uomo nuovo alternativo a quello cristiano, con un’organizzazione per fascia d’età che entrava in diretta concorrenza con le organizzazioni ecclesiali, con una disponibilità di mezzi e strutture che era decisamente superiore a quella di cui il mondo ecclesiale in generale, e salesiano in particolare, potevano disporre, con la pretesa, infine, di riservare l’educazione giovanile alla propria esclusiva competenza. Continue reading “Silvano Oni – “Salesiani e l’educazione dei giovani durante il periodo del fascismo” in ” Salesiani di Don Bosco in Italia”.”→
In ogni tempo si giudicò necessaria l’unione tra i buoni per giovarsi vicendevolmente nel fare il bene e tener lontano il male. Scopo fondamentale de’ Cooperatori Salesiani si è di fare del bene a se stessi mercè un tenore di vita, per quanto si può, simile a quello che si tiene nella vita comune.
Il sistema preventivo di don Bosco ha preso forma prevalentemente in comunità giovanili di grandi dimensioni: oratori, ospizi, collegi, scuole. Esso è, quindi, primariamente programma di una pedagogia d’ambiente. Nonostante questo, nella prassi e nella mente di don Bosco, esso prevede con altrettanta nettezza che qualsiasi istituzione educativa si modelli sulla forma della famiglia, sia pure con differenti tonalità secondo i diversi ambienti.
Lacarità occupa un posto di eccellenza nel quadro delle virtù offerte ai giovani, come appare in particolare nel limpido cammino di santità di Domenico Savio. Farsi carico dei piccoli e grandi problemi del prossimo, saper vivere gioiosamente in comunione coi compagni, crescere nella convivialità e nell’amicizia è il primo comandamento di vita nella casa dei giovani di don Bosco. Ovviamente non potevano mancare nella mappa delle virtù cristiane proposte a giovani e adulti le altre virtù teologali, che, tuttavia, non modificano l’ispirazione intensamente “morale” dell’intero impianto di base, poggiato sui “doveri” e sul tirocinio delle virtù acquisite. Nella biografia del giovane martire Pancrazio don Bosco invita ad ammirare «quella viva fede, quella ferma speranza, quella infiammata carità», che era stata preceduta da una virtuosa fanciullezza.
La gioia è caratteristica essenziale dell’ambiente familiare ed espressione dell’amorevolezza, risultato logico di un regime basato sulla ragione e su una religiosità, interiore e spontanea, che ha la sua sorgente ultima nella pace con Dio, nella vita di grazia. «Il contatto fraterno e paterno dell’educatore coi suoi allievi» «non avrebbe valore né effetto senza l’efficacia della vita gioiosa, dell’allegria sullo spirito del giovane, che per essa si dischiude alla penetrazione del bene». La gioia, l’allegria, è elemento costitutivo del “sistema”, inscindibile dallo studio, dal lavoro e dalla pietà.
Nel Sistema Preventivo di don Bosco il giovane, singolo e in comunità, diventa discepolo e conformandosi interiormente all’ordine, rappresentato dai regolamenti e dalle prescrizioni, si disciplina in tutti i settori e strati della propria vita interiore ed esteriore. L’educazione diventa, così, opera di obbedienza e di disciplina nel senso più ampio: l’adempimento del dovere è in realtà compimento dei doveri, tutti, verso Dio, verso gli altri, verso se stessi. “I doveri” e “il dovere” si succedono, intrecciandosi, costantemente: tutto ciò che si ha da fare per salvarsi è il dovere del proprio stato – studio, lavoro – come banco di prova e di verifica dell’autenticità del compimento di tutti gli altri.
Il sistema educativo di don Bosco, come l’intera azione pastorale e la spiritualità, non si presenta con la radicalità di altri moderni profeti dell’educazione. Egli non mira alla creazione dell’uomo nuovo come intesero, in epoche e con visuali differenti, le pedagogie moderne. Ma non indulge neppure, con mentalità restauratrice, a un puro ritorno all’uomo antico, quello della tradizione cristiana e civile dell’ancien régime. Don Bosco ha concepito e attuato la propria opera educativa per il raggiungimento di fini insieme antichi e nuovi, portando i giovani ad accogliere e formare in sé sia la fedeltà alla perenne novità cristiana sia la capacità di inserimento in una società affrancata dai più pesanti vincoli dell’ancien régime e proiettata verso nuove conquiste. È la stessa comprensione, seppur differenziata, che di lui hanno i suoi contemporanei.
La ragione, la “ragionevolezza” permea tutto l’ambiente e lo stile educativo di Don Bosco; soprattutto nell’ambito dell’educazione religiosa dove al sentimentalismo pietistico egli vuol sostituita una “pietà” convinta, cosciente, fondata su una impegnativa e seria “istruzione” religiosa.
Ma di “ragione” è, soprattutto, satura l’amorevolezza. Ragione significa, anzitutto, razionalità, guida della vita spirituale attraverso la chiarezza delle idee e della verità e non mediante la suggestione o la pressione emotiva e sentimentale. In questo senso, essa costituisce un elemento essenziale della carità soprannaturale e dell’autentica amorevolezza, che non dev’essere puro slancio affettivo e istintivo.
Ma ragione, “ragionevolezza”, nella concezione vissuta da D. Bosco, è anche buon senso, semplicità, rifuggire da ogni artificio e da ogni “montatura”. Essere “ragionevoli” educativamente significa, allora, evitare stranezze, artifici, complicazioni. Lo vuole il clima della famiglia e di ogni convivenza normale.
Nella concezione educativa di don Bosco il principio metodologico di base è il principio dell’amorevolezza: costruire fiducia, confidenza e amicizia attraverso un atteggiamento non facile di farsi prossimo ai giovani rispetto a tutta la loro vita. L’amorevolezza è quella bontà simpatica, quotidiana, affettiva ed effettiva nel desiderare il bene per la persona del giovane. Don Bosco raccomanda che gli educatori “come padri amorosi parlino, servano di guida ad ogni evenienza, diano consigli ed amorevolmente correggano”.
All’interno della giornata di studio “Dono di sé: approccio teologico, spirituale e pedagogico”, Aldo Giraudo sintetizza il “darsi a Dio per tempo” come atteggiamento di fondo della spiritualità salesiana.
La giornata di studio è stata organizzata nella collaborazione del Centro Studi Don Bosco e del Centro Studi sulle Figlie di Maria Ausiliatrice e si è svolta il 21 marzo 2019 all’Università Pontificia Salesiana.